Venerdì 17 febbraio Matteo Trefoloni, insieme al Vice Presidente Vittorio Bini e in compagnia del responsabile degli Osservatori Arbitrali Luca Marchini e del designatore degli arbitri di seconda categoria Fausto Rugini, ha fatto visita alla Sezione di Grosseto animando la riunione riservata a tutti gli associati maremmani. L’impronosticabile partecipazione degli arbitri grossetani è stata la prima grande sorpresa della serata, la presenza di 69 unità su circa 90 associati è segno di una salute associativa e sezionale di non poco conto, dimostrazione lampante che la Sezione di Grosseto ci tiene a questo percorso iniziato 6 anni fa con il proprio Presidente Regionale. I primi a prendere parola sono stati Fausto Rugini e Luca Marchini che hanno augurato un buon fine stagione ai più giovani arbitri regionali e agli Osservatori Arbitrali grossetani. Il relatore che ha invece proposto una sorta di prefazione all’intervento di Trefoloni è stato Vittorio Bini; “portare a casa la partita” è stato il suo motto per iniziare il proprio discorso; anche gli arbitri, ha spiegato il Vice Presidente toscano, possono vincere la propria partita e possono riuscire in questo intento solo rispettando 10 comportamenti fondamentali, tra i più importanti l’essere umili, non condizionabili, non prevenuti e soprattutto il non protagonisti.
Dell’arbitro si deve sentire la mancanza e non rimpiangere la presenza, arbitri che sono i protagonisti invisibili all’interno di ciò che è il vero protagonista, il gioco. Poi è arrivato il turno di Matteo Trefoloni che ha esordito riportando dei dati tecnici che confermano la lenta, ma quasi perfetta crescita degli arbitri toscani dal punto di vista comportamentale, Matteo ha spiegato alla platea che questo sforzo fatto dai fischietti regionali al polo di allenamento e in sezione non sempre però si manifesta anche all’interno del terreno di gioco. A fronte di questa mancanza il Presidente Regionale ha presentato tre aspetti fondamentali, pilastri ai quali non si può rinunciare e sono: lo spostamento, la forza e presenza e il controllo. Per quanto riguarda il primo ciò che più deve essere fatto proprio da ogni giacchetta nera è la voglia di arrivare, una voglia che porta inevitabilmente ogni arbitro che la desidera a percorrere tre chilometri in più a partita, per la soddisfazione di essere nel posto giusto al momento giusto; questo primo passaggio, coadiuvato da una ottima forza e presenza ci permette di vincere le partite, di saper prendere provvedimenti disciplinari giusti e molto più: dare loro il peso di cui sono realmente carichi. Il terzo punto, non certo meno importante dei primi, è il controllo, fatto di personalità e concentrazione. Ogni arbitro che si rispetti deve pretendere rispetto per quanto ne offre, stabilire le proprie priorità non tanto nella partita quanto piuttosto in ogni singolo minuto per non dire secondo della gara stessa. Non è vero che gli arbitri non possono parlare, sul terreno di gioco l’arbitro deve parlare o meglio, dice Trefoloni, deve scegliere con chi parlare e di cosa parlare. La concentrazione è fondamentale, se le gambe vanno in una direzione non per forza la mente deve seguirle; la prevenzione verbale è la dimostrazione visiva di un’ottima concentrazione, l’assenza di controllo è sintomo di un’epidemica perdita di attenzione. Sul finire della serata il nostro Presidente ha ripreso un piccolo particolare già espresso l’anno scorso, nella simpatia del discorso e attraverso la sua semplicità Matteo ci ha invitati a mettere da parte questo paffutissimo procione che ci portiamo dietro una volta che ci abbandoniamo al triplice fischio di una partita, questo animale non simboleggia altro che il nostro intoccabile ego che indossiamo, una concezione di noi stessi che ci fa sentire infallibili sempre di più; il comportamento giusto da adottare è piuttosto quello di trovare punti da migliorare anche quando abbiamo arbitrato alla perfezione, mai attaccarsi alle giustificazioni, anche a quelle più valide: è il modo migliore per morire. Ad ogni modo, ha concluso Trefoloni, non dobbiamo permettere a nessuno di infrangere i nostri sogni, nemmeno a noi stessi.
Stefano Giordano